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Un legame di sicurezza. Cani al guinzaglio nei Parchi

01 Agosto 2024
I motivi di un divieto
Un Ente Parco, come quello che gestisce le Aree Protette delle Alpi Cozie, adotta regolamenti, normative e ordinanze che possono limitare le attività umane sia ricreative, sia residenziali e produttive. Le istituzioni chiamate a tutelare ecosistemi di particolare pregio, infatti, hanno il compito di sperimentare sempre nuove forme di coesistenza degli esseri umani in un ambiente naturale ricco di biodiversità. L’obiettivo di questa rubrica è spiegare i motivi dei divieti, aiutando il pubblico a comprendere certe restrizioni volte a conservare un territorio in salute e fruibile nel rispetto delle esigenze di tutte le specie. 


In gita con il cane

Trascorrere una giornata all’aria aperta con il proprio cane è certamente una bellissima esperienza. All’interno di un’area protetta, però, l’introduzione di un animale da affezione è un problema per gli equilibri naturali che un Ente Parco è tenuto a difendere. In tutti i parchi italiani nazionali e regionali, esistono quindi limitazioni volte a trovare un compromesso tra le esigenze di conservazione ambientale e quelle dei padroni di cane che desiderano portare con sé i loro amici a quattro zampe. Vediamo perché. 

Le regole nelle Aree Protette Alpi Cozie

Nei Parchi delle Alpi Cozie è vietato tenere i cani liberi. O meglio, l’ingresso è consentito ai cani al guinzaglio. Con la classica eccezione che conferma la regola: il divieto assoluto nell’area di maggior pregio individuata lungo la sinistra orografica del torrente Chisone nel Parco Naturale della Val Troncea. Una norma chiara e semplice che non si applica ai cani cosiddetti da lavoro, impegnati cioè in attività di supporto a persone con disabilità, soccorso, conduzione e guardiania al bestiame, attività di monitoraggio e vigilanza. 

A difesa degli ecosistemi

«In quanto padrone di cane – racconta il guardiaparco Lorenzo Brino – capisco perfettamente le esigenze dei padroni. Portare con sé il cane in gita, osservarlo felice mentre corre e annusa con curiosità i vari odori che incontra lungo il sentiero è molto emozionante. Ma dal punto di vista della conservazione e della vigilanza in un Parco, mi rendo conto che i nostri amici a quattro zampe sono un pericolo per gli equilibri ecologici. E spesso gli ecosistemi di un’area protetta possono mettere a rischio i cani stessi». 

È possibile osservare spesso Lorenzo in compagnia di Maia, un bellissimo pastore australiano di un anno e mezzo, in formazione per diventare Unità Cinofila Antiveleno. Una risorsa fondamentale per individuare i bocconi avvelenati che, troppo spesso, vengono utilizzati per uccidere sia la fauna selvatica, sia gli animali domestici. Con ogni probabilità Maia concluderà il proprio percorso formativo il prossimo inverno e sarà pronta, con Lorenzo, a ad affiancare Luna e Gianabele, l’altra Unità Cinofila Antiveleno operativa nei Parchi delle Alpi Cozie.

«Inevitabilmente – prosegue Brino – tutti i cani hanno un istinto predatorio che li può spingere a inseguire o attaccare un animale selvatico. Anche quelli più educati e mansueti, perché fa parte della loro natura. In un’area protetta questo non deve avvenire; qui l’obiettivo è proteggere l’ambiente, nel rispetto della fruizione degli esseri umani. L’uso obbligatorio del guinzaglio è quindi un giusto compromesso. E non dimentichiamo che i nostri amici cani possono essere un veicolo di patologie che potrebbero colpire la fauna selvatica, in caso di incontri troppo ravvicinati». 

A tutela di cani e padroni

Un altro aspetto molto importante: la norma tutela i padroni e i cani stessi. 

«Come agente del corpo di vigilanza – ammonisce Brino – voglio sottolineare il fatto che un padrone è sempre responsabile civilmente e penalmente del comportamento del proprio cane. Al di là del danno ambientale provocato da un cane che ferisce o uccide un selvatico, c’è l’aspetto legale: quello è un reato penale. Il guinzaglio, quindi è uno strumento di prevenzione. Invece, come padrone, aggiungo che l’ambiente in un’area protetta può rappresentare un pericolo per i cani da compagnia. I nostri amici possono avere la peggio da un incontro ravvicinato con un tasso, una marmotta, un cinghiale, una vipera o i bruchi della processionaria. Tenendoli al nostro fianco riduciamo drasticamente le probabilità che ciò si verifichi. Così come limitiamo una situazione che osserviamo spesso nella stagione estiva, cioè gli attacchi ai cani da compagnia da parte dei cani da guardiania a protezione di mandrie e greggi. Un cane antilupo interviene ogni volta che si presenta una situazione di pericolo per il bestiame, anche se si tratta di un innocuo cagnolino che si è avvicinato inavvertitamente. Infine c’è il tema dell’autoconservazione del cane che, durante l’inseguimento sfrenato di un selvatico, potrebbe infortunarsi o addirittura precipitare lungo i terreni molto impervi che si incontrano spesso nei nostri territori».