di Riccardo Alba
Le aree montane sono tra gli hotspot di biodiversità più preziosi e fragili a livello globale, ospitando specie uniche adattate a condizioni climatiche rigide e ambienti estremi. Tuttavia, uno studio recente condotto lungo un gradiente altitudinale nelle Alpi Occidentali mette in luce come le aree protette, pur fondamentali per la tutela della fauna montana, stiano subendo pressioni crescenti legate ai cambiamenti climatici e ai mutamenti dell’uso del suolo, che hanno ripercussioni sulla biodiversità montana.
Lo studio, condotto con il professor Dan Chamberlain del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e pubblicato sulla prestigiosa rivista Biological Conservation (leggi l'articolo scientifico completo), riporta come sono cambiate le comunità alpine di uccelli in oltre un decennio (2010-2023), focalizzandosi sulle dinamiche all’interno e all’esterno delle aree protette. I transetti altitudinali hanno coinvolto diverse aree protette piemontesi, tra cui alcune gestite dall’Ente di Gestione delle Aree Protette delle Alpi Cozie: i Parchi Naturali Orsiera Rocciavré, Gran Bosco di Salbertand e Val Troncea, oltre ai siti della Rete Natura 2000 Rocciamelone e Champlas - Colle Sestriere. Utilizzando il Community Temperature Index (CTI), indicatore che misura la tolleranza termica delle specie presenti in un determinato territorio, i ricercatori hanno evidenziato un fenomeno preoccupante: mentre al di fuori delle aree protette il CTI è rimasto stabile, all’interno di esse è aumentato rapidamente.
Questo trend suggerisce che le comunità di uccelli entro i territori tutelati stanno cambiando, con un progressivo declino delle specie specializzate alle caratteristiche climatiche delle alte quote a favore di specie più comuni e termofile che colonizzano le altitudini superiori. Si può presumere che all’inizio dello studio (2010, 2011, 2012) le aree protette fossero maggiormente in grado di ospitare specie adattate ai climi freddi grazie alla più elevata qualità ecologica dei loro ambienti. Al di fuori, la pressione antropica unita a un utilizzo di suolo più impattante (attività ricreative come lo sci) aveva già determinato un incremento di CTI. In occasione del secondo rilevamento (2022, 2023) le differenze in CTI si sono livellate con una sensibile crescita all’interno delle aree protette, mentre all’esterno si è mantenuto stabile. Le variazioni più significative si sono riscontrate in corrispondenza del limite superiore del bosco, dove la vegetazione arbustiva e forestale avanza spinta dal riscaldamento e dall’abbandono delle attività pastorali tradizionali. Inoltre lo studio evidenzia come nello stesso decennio ci sia stato un incremento delle temperature medie annue superiore a 1,19°C (dati Arpa Piemonte).
Specie come la capinera, il fiorrancino, lo scricciolo si stanno muovendo rapidamente, colonizzando quote sempre più elevate. Anche specie tipiche delle foreste di conifere come la cincia mora hanno subito dei significativi spostamenti in quota, così come quelle legate alla linea degli alberi come la passera scopaiola. Più preoccupante è quanto accade a specie come lo spioncello o il culbianco, adattate agli habitat di alta quota come le praterie alpine, che non dispongono di territori più elevati verso cui migrare determinando il fenomeno noto come “scala mobile verso l’estinzione”.
La semplice istituzione di aree protette con confini fissi, quindi, non sembra più sufficiente a garantire la conservazione degli habitat alpini più sensibili e delle specie che li abitano. Le pressioni ambientali in atto richiedono invece strategie di gestione più dinamiche e adattive dal momento che gli habitat e le specie a essi legate sono in continuo mutamento. Lo studio propone interventi quali il pascolo mirato per contenere l’espansione forestale, la conservazione e il ripristino della connettività altitudinale tra habitat diversi e un monitoraggio continuo e standardizzato intensivo delle comunità di uccelli montani.
Questi animali rappresentano eccellenti bioindicatori dello stato di salute degli ecosistemi montani: osservare i loro cambiamenti permette di ottenere informazioni preziose sull’evoluzione degli habitat e sugli impatti ambientali in atto. Inoltre, per garantire una conservazione efficace e duratura della biodiversità alpina è fondamentale instaurare una collaborazione attiva con le comunità locali, coinvolgendole nella gestione e nella tutela del territorio. Solo un approccio condiviso può assicurare che le montagne mantengano la loro biodiversità, evitando il suo declino irreversibile e preservandola per le generazioni future.