Pagina iniziale / Notizie / Monitorare gli ortotteri: una sperimentazione nei Parchi Alpi Cozie

Monitorare gli ortotteri: una sperimentazione nei Parchi Alpi Cozie

06 Maggio 2025

La rivista “Contributions to Entomology” ha recentemente pubblicato un articolo scientifico basato su uno studio realizzato dal personale delle Aree Protette delle Alpi Cozie. La pubblicazione edita dal Senckenberg Deutsches Entomologisches Institut ha accettato il lavoro sottoposto da Davide Giuliano, guardiaparco, e Barbara Rizzioli, funzionaria dell’Area Biodiversità, con il titolo “Mini-round box as standardized sampling method for orthopterans in alpine and subalpine grasslands: a field study to highlight strengths and weaknesses”. È il resoconto di una ricerca condotta in collaborazione con il Parco del Monviso, mirata a valutare l’efficacia di una particolare tecnica di campionamento degli ortotteri nei pascoli alpini che, al di là dei risultati, racconta in maniera esemplare i procedimenti alla base del metodo scientifico.

«L’obiettivo – spiega Davide Giuliano – era sperimentare una modalità più agile e leggera per monitorare nel contesto alpino quelle che chiamiamo comunemente cavallette. Questi insetti sono molto studiati perché forniscono indicazioni preziose sullo stato di salute delle praterie, ma le tecniche comunemente utilizzate per il loro campionamento richiedono spesso un’attrezzatura voluminosa e pesante, che difficilmente si può trasportare in molte aree di studio poste ad alta quota, dove si arriva soltanto a piedi. Proprio per questo, già a partire dal 2007, il monitoraggio degli ortotteri nei parchi delle Alpi Cozie ha previsto l’utilizzo di un’attrezzatura specifica e maneggevole, di cui però non avevamo ancora mai avuto modo di verificare l’efficacia, soprattutto in termini di esaustività. Nell’estate del 2021, grazie al progetto PITEM Biodiv’Alp, abbiamo avuto l’opportunità di effettuare le verifiche sul campo, impostando un apposito disegno sperimentale».

Il progetto Pitem Biodiv’Alp, di cui i Parchi delle Alpi Cozie erano partner, aveva infatti l’obiettivo di migliorare la conoscenza, la gestione e la conservazione delle praterie nelle Alpi occidentali, anche attraverso la definizione di metodologie di monitoraggio appropriate per quanto riguarda l’entomofauna.

«Le modalità più diffuse di conteggio degli ortotteri – prosegue Giuliano – prevedono l’utilizzo di scatole quadrate da 1 m2 di superficie (i cosiddetti “box quadrats”), le quali vengono letteralmente lanciate nell’erba per catturare al loro interno le cavallette, che in seguito vengono esaminate per l’identificazione delle specie. Questa tecnica è stata ampiamente validata dal punto di vista scientifico, ma risulta poco praticabile in montagna a causa del peso (in alcuni casi fino a 6 Kg) e del volume della strumentazione, rendendo difficoltoso raggiungere certi siti di studio in quota. Nella nostra ricerca abbiamo invece adoperato una specie di “tubo” (cilindro con base di 0,16 m2 di superficie, che abbiamo chiamato “mini-round box”), richiudibile e pesante appena 1 kg e, altro aspetto significativo, acquistabile con poche decine di euro».

Molta attenzione è stata posta anche sulla selezione degli ambienti più adatti per lo studio. 

«Abbiamo selezionato 12 stazioni di monitoraggio tra 1500 e 2600 m di quota, di cui 8 nel Parco Naturale della Val Troncea e 4 nel Parco Naturale del Monviso, che abbiamo visitato ogni 15 giorni da metà luglio a fine settembre 2021, integrando i risultati ottenuti con due metodi di campionamento distinti. Il primo prevedeva la cattura degli ortotteri con il tubo, lanciato 60 volte lungo un percorso di 200 m, mentre il secondo consisteva nell’individuazione delle specie presenti sul medesimo percorso tramite riconoscimento del canto e l’osservazione diretta degli esemplari tra l’erba. Unendo i dati ottenuti con le due tecniche, abbiamo ricavato una lista di specie di riferimento per ciascuna stazione di monitoraggio, che abbiamo poi confrontato con la lista di specie osservate tramite tubo. Il risultato è stato che all’interno dei tubi abbiamo campionato in media solo il 53% delle specie effettivamente presenti nelle località oggetto dello studio, evidenziando una marcata sottostima causata dal metodo di campionamento».

In fase di ipotesi, ci si aspettava un’efficacia maggiore da parte dei tubi, ma l’obiettivo dello studio era valutare nel complesso tutti gli aspetti, positivi e negativi, di questi strumenti, mettendo in condizione il personale tecnico del parco e altri futuri ricercatori di adottare opportuni fattori compensativi nel disegno di campionamento o nella fase di analisi.

«Dopo la raccolta e l’elaborazione dei dati – conclude Giuliano – abbiamo proceduto con un esame dei pro e contro del metodo di campionamento, applicando un’analisi SWOT per sistematizzare i punti di forza e debolezza, le opportunità e minacce di questa modalità di monitoraggio. Innanzitutto è evidente come i vantaggi derivanti dalla leggerezza ed economicità dei tubi vengono compensati da una minore capacità di cattura delle cavallette, probabilmente a causa della ridotta superficie di terreno coperta dallo strumento». 

Ci sono, però, anche importanti vantaggi. 

«Sono emersi due dati molto significativi in relazione al territorio su cui abbiamo operato. In primo luogo i tubi si sono dimostrati similmente efficaci su terreni caratterizzati da erba di diverse altezze: una situazione che si presenta spesso nelle Alpi dove i monitoraggi si effettuano a quote diverse, su prati incolti, sfalciati o pascolati da bestiame. In secondo luogo, si ipotizzava che gli ortotteri più mobili fossero in grado di sfuggire più facilmente alla cattura, invece i dati raccolti non indicano particolari differenze. Insomma, non abbiamo scoperto un nuovo strumento in grado di rivoluzionare il lavoro di campionamento degli ortotteri in montagna, ma ora abbiamo a disposizione informazioni utili riguardo una tecnica che in determinati contesti può offrire importanti vantaggi. Ad esempio, può essere sufficiente aumentare il numero di lanci del tubo in ogni stazione di campionamento per aumentarne l’efficacia, oppure il tubo può essere semplicemente abbinato ad altre modalità di monitoraggio, in modo da compensare le sue carenze in termini di esaustività. In sostanza, quando è necessario monitorare le cavallette su certi versanti particolarmente impervi o difficili da raggiungere, può essere necessario trovare un compromesso tra l’efficacia degli strumenti tradizionali, come la scatola di cattura, e una strumentazione più pratica e maneggevole, come il tubo oggetto della nostra ricerca, che può essere comunque utilizzata con alcune semplici accortezze. Ancora una volta, questa ricerca ci ha insegnato che, come spesso accade nella scienza, non esiste una soluzione semplice e lineare per ovviare ad un problema, ma occorre precedere a piccoli passi per trovare le risposte che cerchiamo».