Alla fine di marzo 2025 è stato pubblicato sul Journal of Animal Ecology un interessante articolo scientifico sulle abitudini migratorie stagionali dello stambecco in relazione ai cambiamenti climatici. Si tratta del risultato di uno studio a livello alpino che incrocia una grande mole di dati relativi agli spostamenti di 406 ungulati dotati di radiocollare con le condizioni climatiche dei loro habitat per analizzare come le variazioni stagionali di copertura nevosa, i picchi di crescita e senescenza vegetazionale e le temperature influiscono su strategie e tempistiche con cui gli stambecchi si spostano dai siti di svernamento ai versanti in cui trascorrono la stagione estiva, e viceversa. Il lavoro si è avvalso anche della collaborazione delle Aree Protette Alpi Cozie che hanno fornito i dati di 16 capi localizzati nei parchi naturali Orsiera Rocciavré e Val Troncea e nella ZSC Rocciamelone a cui è stato applicato un radiocollare GPS all’interno del progetto Alcotra Lemed Ibex, tra il 2017 e il 2020.
L’obiettivo ultimo dello studio è capire le capacità di resilienza ai cambiamenti climatici dello stambecco, una specie che si è adattata a determinate condizioni ambientali che il riscaldamento globale ha iniziato a modificare in maniera molto determinante, per valutare se le abitudini comportamentali dell’ungulato gli consentiranno di sopravvivere agli sconvolgimenti previsti dagli scenari futuri. Lo stambecco, infatti, compie due migrazioni stagionali (autunno e primavera) di raggio piuttosto breve, mediamente intorno ai 3 km e 400 m di dislivello, che gli consentono di trasferirsi dai versanti più a bassa quota, impervi esposti a sud, dove trascorre l’inverno a quelli più in alto, freschi e ricchi di foraggio, per l’estate. Mettendo in relazione le tracce GPS degli spostamenti degli ungulati con i dati sulla copertura nevosa e sulla crescita della vegetazione ottenuti dall’analisi delle immagini satellitari attraverso il Normalized Difference Vegetation Index (NDVI) e le condizioni meteorologiche nei siti occupati dai selvatici, si indagava quale elemento sia più determinante nell’avviare le migrazioni.
Dai risultati emersi, sembra che i principali fattori in grado di attivare lo spostamento degli stambecchi in primavera siano soprattutto i picchi di crescita vegetazionale combinati, ma in maniera meno determinante, con le temperature e la presenza di neve al suolo. Le date in cui si svolgono i trasferimenti di questi ungulati dipendono prevalentemente dalla disponibilità di foraggio e dalle sue caratteristiche nutrienti: più presto quando la crescita dell’erba è anticipata e più tardi quando le condizioni della stagione ne rallentano lo sviluppo. Con una netta distinzione tra maschi e femmine perché le abitudini di queste ultime dipendono in larga parte dal loro calendario riproduttivo che impone di raggiungere i siti estivi per partorire, indipendentemente da condizioni atmosferiche, climatiche e vegetazionali. La migrazione autunnale, invece, sembra maggiormente determinata dalla presenza di neve al suolo e in maniera più simile tra maschi e femmine.
In conclusione, secondo gli scenari intermedi di riscaldamento climatico elaborati dall’IPCC, la fusione della neve al suolo avverrà mediamente con 10 giorni di anticipo nel 2050 e 13 giorni prima entro il 2100. Questo significa che anche gli stambecchi dovranno anticipare il periodo di migrazione primaverile per raggiungere i siti estivi nel periodo di massima disponibilità foraggera. Dai risultati della ricerca sembra che i maschi di stambecco siano maggiormente attrezzati per adeguarsi a questi cambiamenti, mentre le femmine potrebbero registrare un minore successo riproduttivo raggiungendo i siti dei parti a stagione inoltrata quando le proprietà nutritive dell’erba saranno in fase declinante.
Per maggiori informazioni rimandiamo all’articolo (in inglese).