last update: 28/04/2021

Orchidee

orchidea spontaneabiodiversità

Le orchidee spontanee europee fanno parte dell'ordine Orchideales, famiglia Orchideacee che conta in tutto il mondo 20.000 specie suddivise in 500 generi. Solo la famiglia delle Asteracee ne possiede un numero superiore!
In Europa se ne contano più di 200 specie, in Italia oltre 30 generi con circa 100 specie, non meno belle e affascinanti delle orchidee tropicali, anche se meno appariscenti.  

La maggior parte delle orchidee è concentrata nelle aree tropicali e subtropicali dell'Asia, dell'America, dell'Australia e dell'Africa, e da esse derivano gli innumerevoli ibridi coltivati e venduti  in tutto il mondo.

Le orchidee sono distribuite su tutto il globo, tranne nei deserti e nelle zone coperte dai ghiacci, e si trovano in una grande varietà di ambienti, dalle dune marine all'alta montagna, fin oltre 4000 metri: alcune specie, come ad esempio il Cypripedium calceolus, possono vivere in habitat molto diversi. 
La distribuzione delle orchidee dipende dall’ambiente naturale, l’altitudine, le caratteristiche chimico-fisiche del suolo (orchidee acidofile e calcifile), la luce (eliofile, sciafile), la copertura vegetale, la quantità d’acqua presente nel terreno (igrofile, xeriche).

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Le orchidee possono essere terrestri (con radici nel terreno), epifite (crescono sopra un'altra pianta, dalla quale non ricavano il nutrimento, come fanno le parassite, ma che sfruttano esclusivamente come supporto), saprofite (si nutrono di sostanze organiche in decomposizione e sono prive di clorofilla) e rampicanti, con fusti simili a liane.

In Italia le orchidee sono tutte terricole, perenni, geofite, dotate per la maggior parte di tuberi che possono avere forma globosa o ovale. I tuberi o bulbi fungono da dispensa per  le sostanze nutritive della pianta e possono avere forme diverse; in genere si trovano due tubercoli sferici o ovali, il che giustifica il nome botanico dato a queste piante. Il termine Orchis deriva infatti dal greco in allusione alla rassomiglianza del tubero con i testicoli umani. Il medico e alchimista Paracelso (1493-1541) sosteneva che le piante potessero nascondere un segno occulto della loro utilità per l’uomo: si riteneva che le orchidee con i loro tuberi appaiati avessero un grande valore medicinale per potenziare la virilità maschile.

Altre orchidee sono dotate di una radice sotterranea, più o meno carnosa e ramificata: il rizoma. Nella Neottia nidus avis assume l’aspetto di un groviglio di radici che ricordano il nido di un uccello.
Solo tre generi hanno pseudobulbi, ovvero rigonfiamenti alla base del fusto.

Trattandosi di specie protette, l’analisi delle radici è assolutamente da escludere per il riconoscimento delle orchidee. Si devono invece osservare con attenzione gli organi aerei della pianta, ossia quelle parti che si trovano fuori dal terreno, in particolare fusto, foglie e fiori.

Il fusto è sempre eretto e non ramificato, sul fusto possono trovarsi brattee, foglie o scaglie di dimensioni ridotte e diversa consistenza.

Le foglie sono sempre intere, con margine liscio o appena ondulato, senza gambo, a nervature parallele ( l’unica eccezione europea è Goodyera repens, le cui foglie hanno un accenno di gambo e una nervatura ramificata); talvolta possono mancare del tutto o essere ridotte a scaglie, come nelle orchidee prive di clorofilla dei generi Neottia, Limodorum, Corallorhyza.

Il fiore nelle orchidee può avere forme curiose, di uomo, donna, insetti, uccelli, scimmiette, è la caratteristica peculiare che ci permette di riconoscerle dalle altre piante.

Il fiore ha sempre simmetria bilaterale, è detto zigomorfo, ossia non regolare, perchè presenta un solo piano di simmetria bilaterale. Tranne che in Cypripedium calceolus (che ha fiori solitari o raramente doppi), i fiori non sono isolati ma raggruppati ad altri a formare un’infiorescenza a forma di spiga più o meno densa e allungata.

È composto da sei elementi, tre sepali, due petali laterali ed uno centrale, il labello che può essere intero, bilobato, trilobato e fornito di uno sperone di forma, taglia e dimensioni molto variabili, che in molti casi contiene il nettare. Il gimnostemio, struttura posta al centro del fiore sopra il labello, racchiude tutti gli organi deputati alla riproduzione.

Nelle orchidee l’impollinazione, cioè l’apporto di polline sullo stigma del fiore per la fecondazione e la produzione di semi, può avvenire in due modi: l’impollinazione incrociata, quando il polline è portato sullo stigma di un’altra pianta, e l’autoimpollinazione, quando il polline passa direttamente dall’antera allo stigma dello stesso fiore.

Le orchidee si servono principalmente degli insetti per riprodursi e li attraggono in tre modi diversi: offrendo loro del nettare, ingannandoli o prendendoli in trappola. Quest’ultimo è il sistema messo in atto dal Cypripedium calceolus, il cui labello rigonfio è una vera trappola incruenta per i suoi visitatori: dotato di una sola via di uscita, costringe l’insetto a un passaggio obbligato durante il quale si riempirà di polline con cui andrà a fecondare un altro fiore.

Alcune specie come l’Ophrys apifera, praticano regolarmente l’autogamia ossia l’autoimpollinazione, in tal modo sono in grado di colonizzare habitat poveri di insetti e di risparmiare energia non dovendo produrre nettare.

Un passo ulteriore verso la più assoluta autosufficienza è la cleistogamia ossia l’autoimpollinazione all’interno di un fiore ancora chiuso, come avviene in certe Epipactis e nella Cephalanthera damasonium: nei casi più estremi, come nella Neottia e nel Limodorum, l’orchidea negli anni sfavorevoli può crescere, fiorire e produrre frutti completamente sottoterra.

Il genere Ophrys ha elaborato una strategia davvero sofisticata, basata sull’inganno: il fiore assume l’aspetto, il colore e perfino l’odore delle femmine di certe vespe o api solitarie per attrarre il maschio ed invitarlo all’accoppiamento: l’insetto giunge sul fiore, allettato irresistibilmente dall’odore.  L’orchidea, per mezzo di un cocktail di sostanze chimiche, è in grado di riprodurre quello dei feromoni. femminili .

Immediatamente ha inizio l’accoppiamento: il labello rigido e bombato ne sopporta bene il peso, la pelosità vellutata rafforza l’illusione che si tratti proprio del corpo di una femmina; agitandosi sul labello, il maschio va ad urtare i pollinoidi (masse polliniche ) che immediatamente gli si incollano sul capo assumendo una posizione orizzontale  che consentirà di colpire lo stigma di un altro fiore assicurandone la fecondazione quando l’insetto andrà a visitarlo.

Le masse polliniche contenute in due logge dell’antera, sono provviste di un peduncolo, la claudicola, e riunite alla base in una ghiandola vischiosa detta retinacolo, in grado di aderire al capo degli insetti impollinatori.

I semi delle orchidee hanno parecchie difficoltà di germinazione: sono troppo piccoli per disporre di riserve di nutrimento e contengono un embrione indifferenziato, non una minuscola plantula come la maggior parte degli altri fiori.

Per poter germinare hanno obbligatoriamente bisogno di associarsi a un fungo microscopico presente nel suola, la micorriza ( dal greco micon = fungo e rhiza = radice. Questo fenomeno è detto simbiosi micorrizica (dal greco sin = insieme e bios = vita).

La simbiosi porta dei vantaggi ad entrambi i partners, ma è basata su un equilibrio molto delicato.

I filamenti del fungo invadono una parte delle cellule dell’embrione, che inizia ad ingrossare e a produrre un abbozzo di tubercolo dalla crescita molto lenta: possono occorrere fino a 10 anni perché prenda vita una piccola pianta, e prima che questa sia  in grado di  fiorire possono passarne altri 4!

Si può dunque capire perché estirpare un’orchidea può voler dire annullare con un gesto sconsiderato un lentissimo lavoro sotterraneo, che non potrà più dare i suoi frutti.
Una volta diventata adulta, l’orchidea si emancipa dal fungo sotterraneo, ed è in grado di mantenersi in vita da sola mediante la fotosintesi. Da questo processo di emancipazione sono escluse le orchidee prive di clorofilla, che saranno sempre dipendenti dal fungo simbionte e sono dette per ciò micotrofe.

Le orchidee sono piante per cui è possibile l’ibridazione o fecondazione incrociata  tra due specie dello stesso genere o addirittura di due generi diversi. Spesso gli ibridi sono sterili, ma in caso siano fertili possono reincrociarsi con i genitori dando vita a un fenomeno detto introgressione, e formare intere popolazioni ibridogene, in grado di riprodursi anche se i genitori sopravvivono in pochi esemplari o addirittura scompaiono. Può crearsi in tal modo un ventaglio di piante più o meno simili ai genitori rendendone difficile la classificazione.

La facilità di produrre ibridi fertili è un potente fattore evolutivo, che favorisce la comparsa di nuove specie meglio adattate alla modificazione di un certo habitat.

Le orchidee sono un gruppo relativamente recente, di cui possiamo osservare sul terreno il cammino evolutivo, restandone ad un tempo confusi e affascinati.

Testi tratti da Taccuini del Rocciavre n.3
Amalita Isaia e Lorenzo Dotti
Le orchidee spontanee della Valle di Susa

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