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Resti del grande cervo, foto Domenico Rosselli per archivio Parchi Alpi Cozie

L’inverno arretra in Val Troncea e libera i resti di un grande cervo, una storia da raccontare in tempi di isolamento

Ente Parchi Alpi Cozie Val Troncea

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L'emergenza sanitaria ha sconvolto la nostra vita, in queste settimane l’ordinario e il quotidiano si sono velocemente e necessariamente adattati a nuove coordinate. L’emergenza dichiarata già a fine gennaio, solo a inizio marzo si traduce in misure di contenimento via via sempre più stringenti e imperative. Per le aree protette significa un forte e brusco stop alle attività di fruizione, di ricerca, di territorio; sospesa la didattica, gli stages, i tirocini, l’informazione turistica e di contatto al pubblico, le attività commerciali, l’allestimento delle mostre, i convegni, le missioni, le trasferte, i sopraluoghi tecnici e tutto quanto non essenziale e indifferibile o che non possa essere realizzato in isolamento e da remoto.

Attivato il lavoro agile per la maggior parte del personale si mantiene il presidio del territorio attraverso l’attività dei guardiaparco con funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, chiamati a controllare che non si verifichino pericolosi assemblamenti e a vigilare sul rispetto di tutte le misure di contenimento.

Se nel Parco naturale dei Laghi di Avigliana è più difficile contenere con massimo rigore i numerosi fruitori abituati allo sport in natura, tanto che si è dovuto ricorrere anche a un’ordinanza comunale per vietare l’accesso al lungo lago, nei Parchi di montagna le condizioni sono più tranquille e rispettose. In questi momenti di limitazioni sociali, di dolore e anche di nostalgia, la natura sa regalare emozioni, spunti, storie e pensieri che è importante, proprio in questo triste momento, condividere.

Domenico Rosselli, responsabile della vigilanza dei Parchi Alpi Cozie, in attività sul territorio della Val Chisone ci racconta:

"Val Troncea con la nebbia, foto di D. Rosselli per Parchi Alpi CozieLa strada sterrata di fondovalle è ancora coperta da uno spesso strato di neve e ghiaccio e procediamo a piedi con attenzione, approfittando quando possibile dei tratti a margine dove affiora la terra. Oggi la nebbia, abbastanza fitta per questi posti, e una pioggerella di granuli gelati, non sono certo uno stimolo ad uscire e infatti arriviamo a Laval senza incontrare nessuno.

La nebbia si dirada un po’, svelando la costa a monte della borgata, ben esposta e ormai del tutto sgombra dalla neve: lì in estate, a cadenze fisse, il Parco allestisce una stazione di cattura e di inanellamento a scopo scientifico che fa parte della rete Monitring, un progetto scientifico a livello nazionale promosso dal Ministero dell’Ambiente per studiare le popolazioni ornitiche, le loro fluttuazioni negli anni anche in relazione alle specie migratrici che frequentano i vari ambienti del nostro Paese. I primi migratori sono già arrivati e col passare dei giorni i canti e le presenze su quest’area, piccola ma ben esposta e con ambienti diversificati, aumentano. Decidiamo di fare una piccola deviazione e dedicarci all’osservazione e all’ascolto di questi amici stagionali: la strada resta a valle e tutta ben in vista, dunque non ci sono problemi per il suo controllo, oggi probabilmente superfluo, viste le condizioni meteorologiche.

Puntando il binocolo fra la nebbia che alternativamente s’infittisce e dirada, la mia attenzione viene attirata da una macchia più chiara a metà del pendio, un po’ nascosta dai cespugli di salici della vicina zona umida. Cambio angolazione per cercare di vedere meglio: sembrano rami scortecciati, ma qualcosa non mi convince. Chiamo Enrico, oggi mio compagno di pattuglia: guarda col binocolo anche lui, condivide i miei dubbi e così, dopo pochi minuti di salita, siamo sul posto.

Resti di cervo grande, scheletro, cranio e trofeoNon sono rami, ma le ossa sbiancate, messe allo scoperto dallo scioglimento della neve, di un bellissimo esemplare di cervo maschio di cui resta ancora integro lo splendido trofeo. Tutto intorno le tracce degli altri animali che si sono nutriti, probabilmente per buona parte dell’inverno, di quella provvidenziale scorta alimentare: tracce ed escrementi di volpe, deiezioni di cornacchie e corvi imperiali, abbondanti nella valle. Anche le ossa sono state intaccate, con molte delle costole rosicchiate, e la spina dorsale risulta ripiegata su sé stessa, ferma in quella posizione, come se l’animale fosse rotolato per un tratto giù dal pendio prima che la morte lo irrigidisse. In mezzo a tutto quel bianco spiccano i palchi, così vengono definite le corna dei cervidi, ancora attaccate al cranio integro, che presenta la dentatura di un animale non vecchissimo, probabilmente con un’età compresa fra i 10 e i 12 anni, nel pieno della maturità. Lo conferma anche lo sviluppo delle corna, ampie, caratterizzate da grosse stanghe e con una bellissima corona terminale, ovvero una ramificazione un po’ a scodella, tipica dei soggetti che portano palchi così belli e sviluppati. Sul corno destro una delle ramificazioni mediane, quella denominata in termine tecnico “ago”, è spezzata alla base, probabilmente una conseguenza dei combattimenti autunnali fra maschi durante il periodo degli accoppiamenti per il predominio sui branchi di femmine.

Non è possibile capire da questi resti perchè un cervo così imponente non sia sopravvissuto all’inverno: forse una predazione da parte di lupi, nel caso assai temeraria visto che un cervo di queste dimensioni e con palchi cosi sviluppati è in grado di difendersi bene ed essere pericoloso o una ferita durante i combattimenti; un errore di tiro durante la stagione venatoria che ha solo ferito l’animale e che poi è andato a morire in quella zona, o ancora un animale già provato dallo sforzo per la difesa del suo harem di femmine e che, causa abbondanti nevicate di fine autunno, non ha trovato sufficiente alimento per superare quel momento, vittima di quel fenomeno che viene definito con termine inglese starvation, ovvero inedia, fame, e che determina la fine di molti animali, soprattutto cervidi, nel caso di nevicate abbondanti con conseguente scarsa possibilità di alimentarsi.

Val Troncea con la nebbia, foto di D. Rosselli per Parchi Alpi CozieNon conosceremo mai le cause certe che hanno determinato la sua morte, ma le supposizioni che possiamo fare ci aiutano a ripercorrere la storia e la vita di questi bellissimi animali, la cui sopravvivenza e successo sono legate alle condizioni ambientali e alle mutevoli dinamiche naturali; quello che è certo è che i geni di questo bellissimo esemplare sono ben presenti nei branchi di cervi che frequentano la Val Troncea, testimonianza di una selezione naturale in cui la vita è quasi sempre vincente.

Con Enrico abbiamo recuperato il cranio e il trofeo dell’animale: farà bella mostra nel Museo naturalistico del Parco, occasione di conoscenza, ma anche stimolo per la nostra immaginazione nel ripercorrere la sua storia".

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