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Calcara: il percorso ecomuseale si arricchisce di un nuovo sito

Gran Bosco di Salbertrand

ecomuseo colombano romeancalcararisorse del territorio

Da sempre presenti sul territorio dell'Alta Valle, con ruderi e toponimi, finalmente le rudimentali fornaci per la calce di Salbertrand sono valorizzate da un nuovo sito dell'ecomuseo Colombano Romean realizzato quest'estate non lontano dal sito delle Carbonaie.

All’interno del Parco del Gran Bosco, nella zona tra Salbertrand e Oulx, nei pressi del Sentiero dei Franchi, sono ancora visibili le tracce di antiche calcare, forni nei quali si trasformavano le rocce sedimentarie, costituite essenzialmente da carbonato di calcio, in “calce viva”. Essi attestano un’attività produttiva ormai completamente dimenticata.

L’economia autarchica tipica delle regioni alpine ha imposto per secoli l’impiego delle risorse del territorio. Per la costruzione delle abitazioni si utilizzavano esclusivamente i materiali che la montagna metteva a disposizione: non tegole e mattoni bensì legname e pietre locali per la struttura e per il tetto e calce magra preparata partendo da rocce calcaree come legante per la muratura.

Antiche tracce di murature circolari lasciano ipotizzare che per la costruzione delle calcare si utilizzassero fosse di 2-3 m di diametro la cui pareti venivano rifinite con un muro a secco alto fino a un paio di metri. Al loro interno si costruiva una camera di combustione e si disponevano i blocchi calcarei a formare una cupola. Nella camera di combustione il fuoco poteva essere alimentato per diversi giorni garantendo una buona produzione di calce in qualità e quantità.

Alle quote superiori o nelle zone più irraggiungibili, la calce poteva anche essere preparata con un metodo simile a quello impiegato per la produzione del carbone: si accatastava una gran quantità di legna sopra cui si costruiva una cupola con pietre calcaree; si lasciava un’apertura in basso, utilizzata per accendere il fuoco e un foro in alto per il tiraggio; come nelle carbonaie, la cupola veniva a sua volta rivestita con cotica erbosa. In questo caso la costruzione della carbonaia era meno impegnativa e la cottura della calce più veloce, ma il combustibile non era integrabile e la resa era inferiore.

Terminata la cottura, si otteneva una “calce viva” che per essere utilizzata doveva prima essere trattata con acqua provocando una vivace reazione esotermica che la trasformava in “calce spenta”, ossia acqua di calce, grassa ma molto liquida. Erano necessari 15-20 giorni di riposo perché l’acqua di calce si addensasse e maturasse diventando “grassello”, una massa plastica burrosa e consistente che mischiata con sabbia e acqua dava la calcina o malta per muri e intonaci.

Un nuovo tassello si è aggiunto così al recupero delle memoria, della cultura materiale e delle tradizioni del territorio dell'Alta valle di Susa

 

 

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