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foto Paolo Marre

Storia di neve, il gipeto bianco

Ente Parchi Alpi Cozie

gipetomonitoraggio avifauna

Palanfrè, detto Neve

Il gipeto chiamato Palanfrè è nato presso il Richard Faust Bartgeier Zuchtzentrum di Haringsee in Austria, il 17 febbraio 2004.

Viene rilasciato il 15 maggio 2004 sulle Alpi cuneesi, presso il sito situato nel Vallone della Barra, presso il Gias Isterpis, nel Parco naturale delle Alpi Marittime dopo la marcatura di riconoscimento con due anelli (di colore rosso sul tarso destro recante la sigla di identificazione BG435 e di colore nero sul tarso sinistro) e con la decolorazione di alcune penne delle ali.

07 aprile 2015 - Valle Rhò Frejus - foto Claudio Fammartino

Palanfrè BG435 è una femmina e viene rilasciato insieme al maschio Blangiar BG433 ritrovato morto nel 2009 in valle Gesso (CN), vittima di un’inaspettata valanga. Lascia il nido artificiale per il suo primo volo il mattino del 19 giugno 2004 all’età di 123 giorni iniziando a volteggiare alla ricerca di cibo sulle Alpi Marittime.
Rimane nelle vallate tra la Val Maira e la Valle Stura almeno fino al 2005, poi inizia la sua risalita verso Nord.
L'anno successivo è segnalato in Val Pellice sulle montagne di Angrogna e nel 2007 è probabilmente già osservato sporadicamente in Valle di Susa.

27 febbraio 2008 – Salbertrand – Foto Sergio Perron

Ad inizio 2009 compare nel vallone di Rodoretto, in Val Germanasca in Provincia di Torino; appare adulto, dal colore candido, e viene soprannominato dai suoi osservatori Neve. Normalmente i gipeti amano strofinare il proprio piumaggio in pozze di acqua ferruginosa tingendosi il petto che assume un colore arancio-ruggine, Neve è rimasto bianco, raramente osservato con il piumaggio sporco e imbrattato; questa sua caratteristica l’ha reso più facilmente identificabile e ha dato la possibilità di seguirlo per tutta la sua permanenza nelle valli.

Dopo aver frequentato la Val Germanasca, la Val Pellice, la Val Chisone, il Parco naturale della Val Troncea a partire dal 2012 inizia a frequentare l’Alta Valle di Susa partendo dalla Valle Argentera. A inizio 2013 si sposta nel bacino di Bardonecchia, qui alcuni osservatori e fotografi riescono ad immortalare più volte Neve intento a cibarsi e in un paio di occasioni fotografano così bene il gipeto da rendere possibile la determinazione del colore dei due anelli presenti sui tarsi. L'identificazione non è facile, gli anelli sono già decolorati, uno sembra rosa–rosso, l'altro grigio-nero. L’anno precedente, un pastore della Val Troncea, trova una penna di gipeto, quasi sicuramente del gipeto bianco. L'analisi del DNA della penna conferma l’appartenenza al gipeto Palanfrè BG 435 e la lettura degli anelli conferma la determinazione.

   

Luglio 2013 – Bardonecchia       Marzo 2018 – Foto G. Roux Poignant
Foto Paolo Marre               

Da allora viene osservato con una certa continuità in alta Valle Susa, da Bardonecchia, dove sconfina spesso sul territorio francese tra Nevache e la Valle Stretta, a Salbertrand. Numerose sono le osservazioni di Palanfrè in cavità o nidi di altre specie e negli osservatori diventa ricorrente e auspicata l’idea della formazione di una nuova coppia in grado di riprodursi su questi territori.

Dal 2016 la presenza di Palanfrè non è più legata ai soli territori dell’Alta Valle di Susa, ma, complice una moria di camosci colpiti da cheratocongiuntivite, si sposta tra la Val Chisone e la Valle di Susa, nell'area del Colle delle Finestre, dove rimane fino a pochi mesi fa, con brevi escursioni sul versante esposto a sud del Rocciamelone.
Nel mese di febbraio 2018 si stabilisce lungo le basse pendici del Rocciamelone dove cerca cibo tra le aree percorse dall'incendio dell'autunno precedente.

                      

Febbraio 2015 - Bardonecchia                  Marzo 2015 – Bardonecchia Foto Sergio Perron             
Foto G. Roux Poignant

L’ultima segnalazione è registrata il 28 febbraio 2018 in località Braida, nel Comune di Susa, all'insolita quota di 750 m.

Si sposta poi verso Novalesa dove viene trovato morto il 16 marzo 2018, poco distante dai cavi di una linea elettrica di media tensione.

Gli esami autoptici in corso rileveranno le cause di morte.

Foto Cristiana Molin

 

La vincente reintroduzione del Gipeto sulle Alpi

Il Gypaetus barbatus è un avvoltoio. La sua alimentazione, quasi esclusivamente costituita da ossa, lo colloca in cima alla gerarchia degli spazzini naturali. Per secoli l’uomo lo ha cacciato perché lo considerava, erroneamente, un predatore.

Nel 1913 in Val di Rhemes viene abbattuto l'ultimo esemplare di gipeto presente allo stato naturale sulle Alpi occidentali e bisogna attendere più di 60 anni per veder di nuovo volare questo avvoltoio sulle montagne.

Il ritorno del gipeto è stato possibile grazie al successo del Progetto internazionale di reintroduzione del Gipeto sull'arco alpino, inizialmente sostenuto dal WWF Internazionale, IUCN e Società Zoologica di Francoforte, oggi gestito e finanziato in gran parte dal VCF-Vulture Conservation Foundation.

Il progetto ha favorito la riproduzione dei pochi individui presenti in cattività negli zoo e nei centri di allevamento europei e il successivo rilascio in natura dei giovani pulli. I pulli, nati in cattività, dopo essere stati allevati dalla coppia riproduttrice, all'età di circa 100 giorni, venivano trasferiti in nidi artificiali, su siti predeterminati della catena alpina, e alimentati indirettamente dall'uomo fino al momento dell'involo e dell'indipendenza.

La reintroduzione iniziata nel 1986 nel Parco naturale degli Alti Tauri (Austria), è proseguita nel 1987 in Alta Savoia, nel 1991 nel Parco nazionale Svizzero dell'Engadina, nel 1993 nel Parco del Mercantour (Francia) e nel 1994 nel Parco delle Alpi Marittime.

In Alta Savoia nel 1997 è avvenuta la prima nascita in natura di gipeto.

La metodologia adottata dal progetto ha permesso di ottenere risultati estremamente importanti e nel 2017 si contano 47 coppie territoriali e 220- 260 individui presenti su tutto l’arco alpino.

Il progetto di reintroduzione del gipeto è considerato un progetto vincente, attualmente si stima che la popolazione alpina possa aver superato le dimensioni di quella dei Pirenei francesi e che il suo tasso riproduttivo non sia lontano da quello dei Pirenei spagnoli. Permangono tuttavia molti problemi di conservazione, comuni per altro agli altri avvoltoi e ai grandi rapaci dell’ambiente alpino.

Oltre alle cause di mortalità naturale e di persecuzione della specie, si affacciano numerose minacce spesso non facili da valutare o non comprese del tutto.

Episodi di avvelenamento e atti di bracconaggio sono tuttora presenti. L’avvelenamento causato dal piombo presente nelle munizioni utilizzate per la caccia e la conseguente ingestione da parte degli avvoltoi, durante l’alimentazione di resti di animali cacciati, può causare una debilitazione graduale portandoli alla morte. Il Diclofenac, un farmaco veterinario antiinfiammatorio e antidolorifico usato nei bovini e nei suini di allevamento, può essere causa di potenziale inquinamento ambientale ed elevato rischio per le popolazioni di uccelli necrofagi. Nel subcontinente indiano il farmaco è stato responsabile della morte di decine di milioni di avvoltoi, che si cibavano delle carcasse di bovini trattati. Firma la petizione per poibire il Diclofenac.

La storia di Palanfrè dimostra inoltre quanto possano essere pericolose linee elettriche e cavi sospesi per la vita di questi grandi veleggiatori.

Novalesa - luogo di ritrovamento di Palanfrè il 16 marzo 2018 - foto Giuseppe Ferrero

Progetti internazionali come Life GypHelp hanno il compito di individuare linee guida in grado di mitigare, contrastare e proporre soluzioni che riducano il rischio di vita di questo importante gruppo di uccelli.

Per informazioni i referenti dell’ente per il progetto di reintroduzione del Gipeto sono:

Ai numerosi osservatori e appassionati che come noi in questi anni, hanno potuto godere della presenza di Palanfrè sui cieli delle nostre montagne, rinnoviamo l’invito alla collaborazione e alla tutela della specie, affinché altre importanti pagine del progetto di reintroduzione del gipeto possano ancora essere scritte.

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