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Photo credit Silvia Alberti

Alla ricerca della Pridite

Ente Parchi Alpi Cozie

aree protette

Il guardiaparco Luca Giunti ci aiuta a capire "A cosa serve un Parco":

Una domanda frequente viene rivolta ai Guardiaparco e a chi lavora nelle aree protette. A cosa serve un Parco? O anche: cosa fate, esattamente? Le nuove sessioni di monitoraggi autunnali lasciano spazio alla riorganizzazione mentale delle risposte. Provo a metterle in fila con un esempio e una poesia.

La tutela ambientale assicurata da un Parco nel terzo millennio può essere raffigurata come un tavolo che, per mantenersi stabile e durevole, deve posarsi su quattro gambe ugualmente lunghe e robuste. Esse sono Protezione, Ricerca, Divulgazione e Territorio. Le loro iniziali battezzano un minerale sconosciuto alla geologia – la Pridite – la cui continua ricerca è la sfida che ogni giorno deve affrontare l’Ente in tutte le sue articolazioni, dal Presidente agli operai, dal Direttore ai Guardiaparco, dagli amministrativi alle Guide.

Protezione. È il primo elemento a cui tutti associano l’idea di “Parco”. Il Parco tutela, il Parco vieta, il Parco talvolta sanziona. È certamente vero: è il compito assegnatogli dalle leggi nazionali e dalle direttive europee. Sarebbe però sterile se il suo orizzonte di fermasse al bordo della famigerata “campana di vetro”. In primo luogo, deve soprattutto favorire il miglioramento degli equilibri naturali e della biodiversità generale, anche a costo, in certi casi, di intraprendere azioni dirette a modificare uno status quo insoddisfacente. In secondo luogo, deve essere pronta ad adattarsi e cambiare – senza stravolgere la sua funzione – in base alle novità e alle conferme che continuamente le fornisce la seconda gamba (Ricerca), ma anche in risposta, ove possibile, alle sollecitazioni e alle richieste che propone la quarta (Territorio).

Ricerca. Non è mai finita, nonostante una lunga e solida tradizione. Va continuamente perseguita sia in forma diretta, quando l’ente individua gli ambiti di studio di suo primario interesse, sia in forma di disponibilità verso tutti i soggetti esterni, Università in primis, che vogliano “approfittare” dell’area protetta e della sua formidabile competenza territoriale per essere aiutati a indagare un campo ancora inesplorato. In entrambi i casi la questione principale è la mancanza di fondi e di personale dedicati. La cronicità della problematica non deve però trasformarsi in un alibi per giustificare indisponibilità a cooperare o per bloccare fantasia e intraprendenza nella ricerca di ogni eventuale possibilità di finanziamento (bandi regionali e comunitari, fondazioni, partenariati, sponsor privati compatibili, ecc.).

Divulgazione. Nessuna attività pubblica, per quanto meritoria e necessaria, può essere sostenuta a lungo senza una adeguata spiegazione del suo periodico operato. Si tratta in primo luogo di una precisa responsabilità: un ente pubblico utilizza sempre denari dei cittadini. Quindi rendicontare il loro impiego (al di là degli obblighi amministrativi imposti dalle norme contabili) significa ricercare un rapporto corretto, trasparente e qualificato con i propri “danti causa”. Eventuali critiche sono da accogliere come stimoli a migliorare (se intellettualmente oneste) mentre spesso si possono raccogliere suggerimenti preziosi e apprezzamenti inaspettati. In secondo luogo, occorre approfittare di ogni occasione possibile per trasmettere corrette conoscenze scientifiche e naturalistiche, fondate su ricerche e dati verificabili, soprattutto in questi tempi di fake-news e di leoni da tastiera. Dunque conferenze, interviste, articoli, pubblicazioni, convegni, ecc. sono benvenuti e imprescindibili. I quattro parchi storici oggi gestiti dal nostro Ente – Avigliana, Orsiera-Rocciavré, Salbertrand e Val Troncea - eccellono meritoriamente in questo settore fin dalla sua fondazione nell’altro millennio (1980).

Nello stesso tempo, ogni operatore che in qualsiasi veste rappresenti il parco deve essere adeguatamente formato sia nei contenuti sia nelle modalità di una comunicazione ufficiale, efficace, aggiornata.

Infine, vanno dedicate energie e progettualità all’Educazione Ambientale (non a caso inserita tra le finalità della L.R. 19/09). Superando la “semplice” didattica naturalistica, si prefigge obiettivi dichiaratamente utopici, i più alti a cui può tendere oggi la protezione ambientale: riflessioni profonde su ogni aspetto del rapporto uomo-natura; modificazioni dei comportamenti individuali e collettivi per cercare di ridurre gli impatti sul pianeta. Traguardi certamente inarrivabili ma il cui perseguimento è drammaticamente urgente alla luce delle crisi climatiche, economiche, sociali e ambientali in corso (si vedano, ex multis, l’enciclica “Laudato sii” e il voto del Parlamento Europeo del 7 ottobre 2020).

Territorio. È ultimo dell’elenco solo per ragioni di acronimo ma nella realtà si trova sempre al primo posto. Sono infatti le sue caratteristiche geomorfologiche, naturali, storiche e culturali che hanno costruito nei secoli le peculiarità diventate in seguito oggetto di protezione. Talvolta può sopportare con insofferenza le interlocuzioni con i parchi, talvolta può vederli come estranei o addirittura nemici. Questo equivoco, ove presente, va pervicacemente combattuto. Parchi e territori si prefiggono lo stesso obiettivo, percorrendo strade diverse ma parallele: conservazione degli aspetti migliori, eliminazione di quelli guasti, utilizzo corretto e durevole delle opportunità che offrono a tutti, primariamente alle popolazioni locali senza dimenticare gli interessi collettivi sanciti dall’art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana. Con questo spirito, il parco si pone in posizione di ascolto e collaborazione con i rappresentanti delle aree su cui insiste, dagli amministratori locali agli imprenditori. È inevitabile (per certi versi addirittura auspicabile) che talora le rispettive visioni si trovino in contrasto, ma è preciso dovere istituzionale cercare di favorire le istanze legittime anziché arroccarsi in una torre inaccessibile. Allora, in virtù di serietà e autorevolezza dimostrate nel tempo, quelle decisioni di diniego, che necessariamente dovranno essere prese in alcuni casi, saranno meglio comprese e accettate proprio dai soggetti coinvolti

La quattro gambe non sono indipendenti tra loro. Anzi deve esserne stimolata la continua interazione, dialettica ma collaborativa, al fine di aumentare altezza e robustezza del tavolo usato come esempio.

Per rappresentare sinteticamente quanto sopra enunciato, è utile citare un fenomeno noto ma sempre stimolante: il ritorno del lupo e, di conseguenza, la sua gestione. Oggi la sua miglior tutela passa attraverso un intenso e talvolta difficile coinvolgimento dei pastori e degli utilizzatori del territorio, non solo dentro i confini delle aree protette. Non bastano i rimborsi dei danni e le forniture di mezzi da difesa – pur doverosi. Occorre ascolto, innanzitutto. Ogni azienda, ogni imprenditore sono soggetti diversi e peculiari, le cui esigenze non possono essere sempre catalogate in etichette standard. Talvolta possono avanzare pretese impossibili ma l’esperienza ha insegnato che spesso suggeriscono soluzioni innovative e proposte perseguibili. Un moderno ente di protezione si fa carico di tutte le sfaccettature di un problema, sia all’interno delle proprie competenze sia collaborando con altri soggetti preposti e talora pungolandoli. Dalla sua costante presenza e assunzione di responsabilità trae l’autorevolezza per essere riconosciuto come interlocutore serio, attento e affidabile (anche nel caso in cui le difficoltà non siano eliminabili o lo siano solo parzialmente).

Dato il periodo storico, nessuno può avere certezze per il futuro. La sfida di un’area protetta sarà sempre più quella di coniugare la protezione dell’ambiente, delle specie e degli habitat che le sono affidati, con l’attenzione verso chi in quello stesso ambiente abita da pochi anni o da generazioni e giustamente rivendica il diritto a continuare a viverci, ricavare reddito sostenibile e immaginare prospettive nuove.

Come anticipato all’inizio, la PRIDITE è minerale sconosciuto alla geologia. Nonostante l’impegno nella sua ricerca, quindi, è destinata a non essere conquistata mai. A cosa serve allora preoccuparsene?

Lo ha spiegato magistralmente Eduardo Galeano:

Lei è all’ orizzonte.

Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.

Cammino per dieci passi e lei si sposta di dieci passi più in là.

Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai.

Allora a cosa serve l’utopia?

Serve proprio a questo: a camminare.

 

 

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