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Palanfrè: i risultati degli accertamenti medico-legali eseguiti dopo il ritrovamento

Ente Parchi Alpi Cozie

gipetoGypaetus barbatus

Il 16 marzo 2018 viene trovato morto a Novalesa, poco distante dai cavi di una linea elettrica di media tensione, Palanfrè, il gipeto bianco.

L’ultima segnalazione era stata registrata il 28 febbraio 2018 in località Braida, nel Comune di Susa, all'insolita quota di 750 m.

A distanza di alcuni mesi, possiamo fornire i risultati degli accertamenti medico-legali eseguiti.

Il 23 marzo 2018 la Dott.ssa Frine Eleonora Scaglione, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Torino (Dipartimento di Scienze Veterinarie), ha eseguito la necroscopia sul gipeto che era stato precedentemente sottoposto a indagine radiologica c/o il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino.

Durante la necroscopia sono stati prelevati campioni di organi e tessuti conferiti all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (per la ricerca di esche e bocconi avvelenati) e all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (per la quantificazione del piombo ingerito). Ulteriori esami sono stati eseguiti dal Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino, sezione di Parassitologia (ricerca di Toxoplasma gondii) e dal Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università degli Studi di Torino, sezione di Anatomia Patologica (ricerca di Haemoproteus/Plasmodium spp. e Leucocytozoon spp.).

Sono state inoltre effettuate le misurazioni biometriche e l’esame del piumaggio da parte del Sig. Giuseppe Roux Poignant, guardiaparco presso Ente di gestione delle aree protette Alpi Cozie.

Riportiamo di seguito integralmente le conclusioni della perizia redatta dalla Dott.ssa Frine Eleonora Scaglione che riassume in un unico quadro i risultati di tutti gli esami:

I risultati dell’esame anatomo-patologico, con i risultati degli esami collaterali, hanno evidenziato un quadro complesso.

La presenza di borre dimostra che il soggetto era in grado di procacciarsi cibo. Inoltre, la presenza di un ovaio attivo permette di ipotizzare che la scelta dell’animale di non trovare un compagno e nidificare non fosse dovuta all’influenza ormonale.

L’esame radiografico ha permesso di evidenziare un pregresso episodio traumatico dell’ala destra successivamente risoltosi con una malconsolidazione della frattura. Inoltre la presenza di tre pallini da caccia nella stessa zona e localizzati nel sottocute (N=2) e  nel muscolo brachiale destro (N=1), accompagnati da una modesta reazione periostale, permettono di ipotizzare che la frattura ed i pallini  siano tra loro correlati e antecedenti la morte del soggetto di 1 o 2 mesi.

Tenendo in considerazione la posizione delle munizioni rinvenute nel corpo dell’animale e la distanza tra esse, è presumibile ipotizzare che il colpo d’arma da fuoco sia stato esploso da grande distanza.

Gli esami istologici hanno permesso di confermare la presenza di emorragie cavitarie, costali e polmonari. Tali reperti sono ascrivibili a traumi intervenuti pre o peri-mortem.

Gli esami di ricerca di “esche e bocconi avvelenati” hanno evidenziato nei tessuti del gipeto la presenza di diverse molecole (brodifacum, bromadiolone, difenacoum) appartenenti alla classe dei rodenticidi anticoagulanti. Tali sostanze possono essere tenute in considerazione quali fattori predisponenti l’insorgenza delle emorragie polmonari e del versamento cavitario conseguenti ad un trauma peri-mortem. In merito alla possibile via di intossicazione bisogna considerare le abitudini alimentari di tale specie: il gipeto è infatti un animale necrofago ed in questo caso bisogna ascrivere l’intossicazione all’ingestione di ossa e di carcasse di animali avvelenati con rodenticidi.

La positività per Toxoplasma gondii trova analoga spiegazione: essendo il gipeto all’apice della catena alimentare e nutrendosi di diverse specie che sono ospiti intermedi di T. gondii è possibile che un predatore ne diventi un ospite accidentale. La positività rilevata può tuttavia non essere associata a segni clinici poiché questi si sviluppano generalmente solo in caso di immunodeficienza dell’ospite.

È nota però l’azione di T. gondii sul sistema nervoso centrale: in particolare si può manifestare un rallentamento dei riflessi ed alterazioni del comportamento negli ospiti intermedi/occasionali che quindi diventano più facili prede di un eventuale predatore ospite definitivo (felidi) (Costa da Silva and Langoni, Parasitol Res (2009) 105:893–898).

La positività agli esami batteriologici per Enterococcus faecium e Hafnia alvei non è ascrivibile a nessuna manifestazione patologica poiché questi due generi batterici sono ritenute essere normali commensali di molti animali e dell’uomo.

Le concentrazioni di piombo rilevate nei tessuti dimostrano che il soggetto aveva ingerito durante la vita quantitativi di piombo che si sono accumulati negli organi target. Tali quantitativi però non sono ascrivibili ad un’intossicazione acuta recente in quanto la concentrazione di piombo necessaria per definire un’intossicazione acuta sarebbero di 6.75 mg/kg nell'osso e 5 mg/kg negli organi. Tuttavia, le concentrazione di piombo rilevate a livello encefalico (0.2 mg/Kg) sono da considerarsi elevati se confrontati con i valori di riferimento (0.01 mg/Kg). Tale concentrazione di piombo però potrebbe essere dovuta ad accumulo di sangue a livello encefalico dovuta ad eventuali emorragie o fenomeni ipostatici (post-mortem).

Gli esami virologici e microbiologici per malaria aviare hanno dato esito negativo.

In conclusione, la causa di morte è da considerarsi multifattoriale: la causa prima di morte è infatti ascrivibile alla marcata e diffusa emorragia cavitaria e polmonare. Tuttavia sono da tenere in considerazione le positività ai rodenticidi anticoagulanti all’esame tossicologico che possono aver favorito il sanguinamento o l’entità dell’emorragia che ha portato il soggetto a morte.

L’ipotetica folgorazione dell’animale che è stata ipotizzata in prima battuta da coloro che hanno ritrovato la carcassa, è da smentire poiché non vi è alcun reperto anatomopatologico di tale evenienza. Deve tuttavia essere tenuto in considerazione il possibile impatto con i cavi dell’alta tensione che può essere ascrivibile ad anomalie comportamentali e del volo dovute all’intossicazione da rodenticidi (che possono debilitare un animale), agli alti tassi di piombo a livello encefalico, all’ipotetica presenza di emorragie cerebrali o all’azione patogena di T. gondii, da sole o in sinergia”.

A causare la morte di Palanfrè sono state le estese emorragie interne, ma che queste siano conseguenza dell’urto contro la linea elettrica o dell’assunzione di rodenticidi (potenti anticoagulanti), non si può dire con certezza. Non sono state rilevate sulla carcassa del gipeto tracce di un urto contro i cavi; solo il luogo del ritrovamento ha fatto ipotizzare questa eventualità.

L’ipotetico urto contro i cavi, così come le anomalie comportamentali che avevano portato Palanfrè a frequentare quote sempre più basse e in prossimità di centri abitati, possono essere imputati all’avvelenamento da rodenticidi, all’accumulo di piombo o all’azione patogena del T. gondii.

"La causa di morte è da considerarsi multifattoriale" è la frase chiave della perizia: Palanfré nel suo 14° anno di vita ha forse urtato contro un cavo elettrico ma è arrivato contro quel cavo “stordito” dal piombo nel cervello, debilitato dai topicidi ingeriti e con un'ala fratturata da una fucilata.

Rispetto ai cavi aerei (che siano linee elettriche o impianti a fune) qualche cosa si inizia a muovere anche in Italia. Nella vicina Francia qualche progetto più avanzato per rendere i cavi più visibili è già attivo da tempo: https://www.ledauphine.com/savoie/2016/10/07/tignes-des-drones-pour-proteger-le-gypaete-barbu

Sull’avvelenamento da piombo qualche primo provvedimento è stato preso, nonostante le molte resistenze del mondo venatorio, con l'introduzione del divieto dell'uso delle munizioni al piombo almeno in alcune aree.

Più complessa la questione delle esche avvelenate. Esiste un uso legittimo (esche per topi nei centri abitati e nelle abitazioni) che comunque comporta un possibile rischio perchè il topo morto può essere mangiato da qualche animale necroforo prolungando la catena degli avvelenamenti, ma sopratutto esiste un uso illegittimo e criminale di esche distribuite volontariamente nei campi e nei boschi per “liberarsi” di presenze scomode. Possono essere indirizzate ai mustelidi, alle volpi, ai lupi, spesso semplicemente ai cani dei vicini ma il risultato è sempre lo stesso: l'animale  avvelenato entra nella catena alimentare avvelenando a sua volta altri selvatici.

Nel caso di Palanfrè sono stati trovati tre principi attivi diversi. Ciò significa che l'animale ha ingerito carcasse di animali avvelenati con almeno tre prodotti commerciali differenti e terstimonia quanto la pratica sia diffusa.

Resta l’ultimo “incidente” occorso a Palanfré, la fucilata... una persona armata, in Val di Susa o in Val Chisone,  ha esploso un colpo di fucile con una cartuccia a pallini, utilizzata normalmente per la piccola selvaggina, contro un animale protetto che per anni ha suscitato emozioni e ammirazione in quanti l’hanno visto volteggiare sulle nostre montagne.

Stupidità, ignoranza, frustrazione... contro questo si può fare ben poco.

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