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Photo credit Bruno Usseglio

Un curioso andirivieni

Orsiera Rocciavré

canali irriguiricerche storiche

Dalle ricerche storiche del guardiaparco Bruno Usseglio

Canali irrigui

Probabilmente l’andare di un guardiaparco su e giù lungo percorsi che solo lui riusciva a vedere avrà destato curiosità, se non preoccupazione, in molti escursionisti che osservavano lo strano procedere. Solo i più arditi, spinti dagli interrogativi, hanno osato avvicinarsi, interrompere quella strana danza per chiedere: “Perso qualcosa?”. Lo sguardo interrogativo si è subito disciolto nella risposta ottenuta e al momento del ritorno sui propri passi si è formalizzata sempre la stessa esclamazione: “Ma certo, guarda, eccone uno qui … un altro là … ce ne sono veramente tanti!”.

Il guardiaparco guardava allontanarsi quelle persone, era contento perché durante quel breve incontro aveva potuto trasmettere ad altri una chiave di lettura per interpretare alcuni elementi del paesaggio che purtroppo, silenziosamente, stanno piano piano scomparendo.

Percorrendo i pendii delle montagne, infatti, si rimane meravigliati dalle numerose testimonianze che raccontano la vita rurale di un tempo. Alcune di queste riguardano in particolare l’uso dell’acqua e la realizzazione di canali irrigui che, anche se inutilizzati da decenni, emergono davanti agli occhi attenti di un osservatore. Centinaia di metri di “righe” che segnano ancora oggi i versanti. Realizzati tutti con pala e piccone dalle diverse g

enerazioni di abitanti delle terre alte che, nei secoli scorsi, con le loro mani, hanno dissodato e gestito importanti porzioni di territorio montano. Le centinaia di metri, se censiti e mappati, diventano chilometri, un vero e proprio reticolo idrico suddiviso in principale e secondario che caratterizzava tutte le nostre valli. Queste fievoli tracce racchiudono una infinità di elementi: i saperi teorici e pratici per la loro realizzazione, il coinvolgimento di tutta la comunità per la loro manutenzione secolare, le regole che dovevano guidarne la gestione.

Molta documentazione storica, se si cerca negli archivi, riguarda momenti di tensione, abusi nella ripartizione, liti tra abitanti e tra comunità vicine. Le fonti storiche, dunque, confermano la presenza e la resistenza di un modello di gestione comunitario che “fa notizia” quando le cose non funzionano, non serve infatti “produrre carta” quanto tutto procede bene. Un modello che, attraverso il raggiungimento di nuovi equilibri e all’interno di un quadro normativo ed istituzionale, ha continuato nonostante tutto per lungo tempo a prevalere. Evidentemente, con tutti gli aggiustamenti del caso, era un sistema che funzionava.

In Val Chisone, i principali strumenti legislativi che le comunità hanno utilizzato, sono stati i bandi campestri che disciplinavano i diversi ambiti della vita contadina: non solo acqua e canali, ma boschi, campi, pascoli, strade, forni, fontane, mulini, prevenzione dagli incendi. Accanto a questi, gli archivi conservano le delibere dei diversi consigli comunali che trattano tutti questi argomenti e i ruoli di suddivisione dell’acqua. L’acqua, infatti, era considerata un bene comune, cioè di tutti.

Per approfondire: B. Usseglio, La vita rurale delle comunità – canali irrigui, uso dell’acqua, regolamenti politici e campestri dell’alta Val Chisone tra XVII e XIX secolo, Quaderni del Parco n. 10, Alzani editore, Pinerolo 2016.

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