Ultimo aggiornamento: 12 Novembre 2024
Resti di una vecchia fornace per la cottura della calce - Simona Molino
L'economia alpina di autosussistenza e autoproduzione ha sempre previsto che, in montagna, si utilizzassero le risorse a disposizione, e che anche le abitazioni venissero costruite utilizzando esclusivamente materiali locali: legno e pietra.
Sia per la muratura che per il tetto si utilizzavano pietre locali e, come legante, calcina magra che chi costruiva doveva essere in grado di preparare.
All'interno del Parco sono visibili, in alcune aree ben delimitate ma distanti tra loro (accomunate peraltro dai medesimi toponimi: Orfù, laz Oura...), una serie di forni chiamati "calcare" nei quali si trasformavano le rocce sedimentarie costituite essenzialmente di carbonato di calcio (calcite) in "calce viva". Essi testimoniano un'attività produttiva ormai completamente dimenticata.
In Valle di Susa la grande disponibilità di rocce calcaree ha favorito tali produzioni, con evidenti differenze di lavorazione tra la Bassa e l'Alta Valle.
Se alle quote inferiori e nelle zone più accessibili, le fornaci erano rappresentate da costruzioni in pietra a forma di tronco di cono dotate di specifiche camere di combustione, in Alta Valle, nelle zone più scomode da raggiungere, la calce veniva preparata con un metodo più veloce simile a quello per la produzione del carbone.
Nei pressi del Sentiero dei Franchi tra Salbertrand e Oulx sono evidenti tracce di antiche calcare. Resti di murature circolari lasciano ipotizzare che per la loro costruzione si utilizzassero fosse di 2-3 m di diametro la cui pareti venivano rifinite con un muro a secco alto fino a un paio di metri. Al loro interno si costruiva una camera di combustione e si disponevano i blocchi calcarei a formare una cupola. Nella camera di combustione il fuoco poteva essere alimentato per diversi giorni garantendo una buona produzione di calce in qualità e quantità.
Più in quota, si utilizzava una tecnica simile a quella per la preparazione del carbone. Si creava uno spiazzo di 2-3 m di diametro e vi si accatastava una gran quantità di legna su cui si costruiva una cupola con pietre da calce utilizzando i frammenti più piccoli per tappare gli interstizi.
Sempre lasciando un foro in alto, si rivestiva con cotica erbosa e si dava fuoco alla legna attraverso un'apertura, che in seguito serviva a dare ossigeno alla combustione.
Questo procedimento, essendo legato alla quantità di combustibile non integrabile, produceva calce in minore quantità e di minore qualità.
Ciascun ciclo di produzione comportava una serie di operazioni alquanto laboriose e la cottura durava da cinque a sei giorni, durante i quali si teneva ininterrottamente accesa la calcara.
Per alimentare il fuoco, lento e continuo, era necessaria una grande quantità di legna, soprattutto in fascine. Anche il caricamento comportava tempi piuttosto lunghi perché le pietre dovevano essere spaccate ed ordinate, al di sopra del piano del fuoco.
Terminata la cottura, bisognava aspettare che il forno si spegnesse e raffreddasse prima di estrarre la calcina così ottenuta. Era questa una "calce viva" che, per essere utilizzata, doveva prima essere spenta con l'aggiunta di acqua che provocava una vivace reazione esotermica trasformandola in "calce spenta".
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Tracce di basamenti in muratura di antiche Calcare - Simona Molino
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Sito ecomuseale della Calcara - Simona Molino
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