Common name: Bearded Vulture
Kingdom: Animalia
Phylum: Chordata
Subphylum: Vertebrata
Class: Aves
Order: Accipitriformes
Famiglia: Accipitridae
Genus: Gypaetus
Scientific name: Gypaetus barbatus
Wide and open high mountain territories, in the Alps, the Bearded Vulture has been reintroduced following extinction. In the skies of the Parks of the Cottian Alps, several individuals of bearded vultures are observed soaring, but there are currently no nesting sites. According to the IUCN Red List, it is classified as "Near Threatened" worldwide, although with a declining population. In the Mediterranean region, however, it is classified as "Endangered."
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ZSC – ZPS Orsiera Rocciavrè
ZSC – ZPS Val Troncea
Classification:
Common name: Bearded Vulture
Kingdom: Animalia
Phylum: Chordata
Subphylum: Vertebrata
Class: Aves
Order: Accipitriformes
Famiglia: Accipitridae
Genus: Gypaetus
Scientific name: Gypaetus barbatus
Habitat:
Wide and open high mountain territories, in the Alps, the Bearded Vulture has been reintroduced following extinction. In the skies of the Parks of the Cottian Alps, several individuals of bearded vultures are observed soaring, but there are currently no nesting sites. According to the IUCN Red List, it is classified as "Near Threatened" worldwide, although with a declining population. In the Mediterranean region, however, it is classified as "Endangered."
Può raggiungere 2,90 m. di apertura alare e i 7 kg di peso. Queste caratteristiche lo rendono il più grosso uccello presente nel territorio alpino. Si tratta, inoltre, dell’unica specie tra gli avvoltoi in grado di nutrirsi di ossa grazie ad alcuni adattamenti morfologici e comportamentali. La sua struttura corporea lo pone in una posizione intermedia tra un rapace e un avvoltoio, d’altronde il nome deriva dai termini greci gyps (avvoltoio) e aetos (aquila). La corporatura snella e le ali strette lo rendono più simile a un predatore, mentre le abitudini alimentari, gli artigli più adatti al trasporto e la forma del becco poco conforme a strappare carne lo assimilano ai necrofagi. Inoltre presenta piume anche sulla testa e sul collo, a differenza di altri avvoltoi che sono calvi anche per non imbrattarsi con il sangue e gli umori delle carcasse di cui si cibano.
Nell’adulto il piumaggio mostra un netto contrasto tra dorso e ali a tinta scura, mentre il ventre e il capo sono bianchi. Intorno agli occhi crescono ciuffi di vibrisse nere che scendono al di sotto del becco formando una particolare barbetta da cui l’aggettivo “barbatus”. Le piume sul petto tendono a colorarsi di un marrone ruggine per l’abitudine del gipeto a cospargersi di fanghi ricchi di ferro. Non sono chiari i motivi di questo comportamento: da un lato potrebbe avere funzioni esclusivamente estetiche o ornamentali; dall’altro si pensa che gli ossidi di ferro presenti nel piumaggio possano proteggere le uova dagli agenti patogeni in fase di cova.
Il dimorfismo sessuale è praticamente assente nel gipeto dal momento che maschi e femmine non presentano differenze di stazza, né di abito. Invece la specie presenta numerose difformità nel piumaggio tra individui adulti e giovani con questi ultimi che appaiono inizialmente con un manto scuro per poi attraversare una serie di mute di livrea nel percorso verso la maturità sessuale che raggiungono intorno ai 5/7 anni di vita. In fase di monitoraggio, quindi, si determinano le classi di età degli individui osservati e non il sesso.
Si ritiene che circa il 90% della dieta di un gipeto è costituita da ossa che contengono grandi quantità di grassi, calcio e altre sostanze nutritive, ma sono estremamente difficili da consumare a causa della loro durezza. È questa la specificità che ha sviluppato il grande volatile per sfruttare un alimento scarsamente utilizzato tra gli altri animali e quindi ridurre la competizione con le altre specie e con gli altri necrofagi in particolare. Da un punto di vista morfologico, questo avviene attraverso un’apertura molto marcata della bocca e un esofago reso particolarmente resistente da un rivestimento di cheratina. I gipeti, infatti, sono in grado di inghiottire frammenti ossei lunghi anche 20/30 cm che possono restare incastrati nel loro apparato digerente a lungo senza comprometterne la respirazione grazie all’assenza di gozzo e alle vie respiratorie ben separate dall’esofago. La digestione è permessa da succhi gastrici acidi con cui viene disciolto il calcio presente nelle ossa.
Ma il gipeto ha sviluppato anche un adattamento comportamentale che gli consente di nutrirsi di ossa. I frammenti troppo grandi da ingoiare vengono lasciati cadere da grandi altezze su specifiche conformazioni rocciose finché non si rompono in pezzi più piccoli. Si tratta di un interessante comportamento innato o istintivo, messo in pratica già dalla giovane età, anche negli individui nati in cattività, con lunghi e meticolosi esercizi volti a individuare i siti più adatti e dotati di specifiche caratteristiche del terreno e dell’ambiente circostante tra cui la presenza frequente di correnti ascensionali per facilitare il decollo.
I gipeti formano coppie monogame che occupano territori ampi, fino a 300 km2 di estensione dove possono costruire anche diversi nidi, utilizzati alternativamente. Abbiamo già accennato al fatto che raggiungono la maturità sessuale molto lentamente, intorno ai 5/7 anni di età. Se consideriamo, ancora, che ogni coppia è in grado di allevare un solo pullo appare evidente come il processo di riproduzione sia estremamente lento e delicato. La sopravvivenza della specie è quindi garantita da una longevità molto marcata che può raggiungere i 50 anni in cattività e i 30 anni in natura moltiplicando le opportunità di procreazione, ma è fondamentale proteggere una specie con queste complessità nel rinnovamento della popolazione.
Concretamente, la parata nuziale e l’accoppiamento avvengono in autunno mentre la femmina depone due uova – raramente una ed eccezionalmente tre – a distanza di 4/7 giorni in pieno inverno, tra gennaio e febbraio. La cova dura circa 55/58 giorni e la schiusa ha luogo generalmente nei mesi di febbraio e marzo. Nel gipeto si verifica il cainismo: solitamente il primo pulcino nato impedisce al secondo di accedere al cibo condannandolo a morire di stenti entro il primo giorno di vita. Tale fenomeno avviene in quelle specie che possono allevare un solo piccolo, ma ne generano comunque un secondo che rappresenta una sorta di back up biologico in caso di difficoltà nello sviluppo del primo embrione.
Durante i primi giorni di vita, il pulcino non è ancora in grado di cibarsi di ossa, ma ha bisogno di carne che i genitori gli portano nel nido. La sua nascita, non a caso, si situa nella stagione di maggiore disponibilità di carcasse tra gli animali che non sopravvivono ai rigori dell’inverno e quelli travolti dalle valanghe che emergono con lo scioglimento primaverile della neve. L’involo avviene in piena estate, intorno ai 4 mesi di età, dopo circa 117/127 giorni dalla schiusa, quando il giovane esce dal nido per andarsi a posare in qualche cavità tra le rocce. Prima di raggiungere la piena autonomia trascorrerà ancora un mesetto durante il quale verrà accudito dai genitori. L’allontanamento definitivo dal nucleo famigliare si situa verso l’autunno.
La conformazione fisica del gipeto lo rende uno straordinario veleggiatore, non solo in grado di usare le correnti ascensionali termiche, ma capace di sfruttare anche i venti di caduta e le correnti di rifiuto che si creano sui versanti sottovento. È in grado di percorrere grandi distanze durante le perlustrazioni ad alta quota, così come agili sorvoli a bassa quota quando è alla ricerca di carcasse che individua prevalentemente attraverso la vista. A differenza degli altri avvoltoi, può decollare anche in spazi ristretti, così come effettuare brusche picchiate come un’aquila. Le ali strette e la coda a punta danno una grande manovrabilità alle sue operazioni aeree.
Il gipeto si è estinto all’inizio del XX secolo in territorio alpino a causa dell’attività venatoria umana, alimentata da false credenze. Le dimensioni imponenti, il piumaggio di colore scuro e il becco adunco del grande uccello favorirono la diffusione di leggende che lo dipingevano capace di catturare addirittura i bambini, oltre a essere un temibile predatore di animali domestici. Nulla di più sbagliato, invece, perché la dieta del gipeto è interamente costituita da animali morti. Ma la caccia indiscriminata tramite armi da fuoco e i processi di avvelenamento innescati dalla diffusione di esche tossiche per contenere volpi e lupi condussero alla scomparsa della specie testimoniata dall’uccisione documentata dell’ultimo gipeto avvenuta nel 1913 in Valle d’Aosta.
Ma già negli anni ’70 iniziarono le prime iniziative di reintroduzione supportate dall’insostituibile efficacia dei necrofagi nel contenere la diffusione delle malattie attraverso il consumo delle carcasse. I primi tentativi avvennero in Francia quando furono liberati alcuni esemplari catturati in Afghanistan. L’elevata mortalità degli individui e la difficoltà nel reperirne di nuovi resero vani questi sforzi finché, nel 1978, gli esperti provenienti dai principali stati alpini decisero di cambiare strategia sperimentando il rilascio di giovani nati in cattività negli zoo.
Dal 1986, quando fu liberato il primo gipeto nel parco nazionale austriaco degli Hohe Tauern, ad agosto 2022 sono stati rilasciati 243 gipeti nelle Alpi. Durante l’estate del 1997, in Alta Savoia, è avvenuto l’involo del primo esemplare nato in natura. L’attesa è stata lunga ma ripagata da successo perché a oggi più di 150 giovani hanno seguito il suo esempio.
Intorno ai 90/100 giorni dalla nascita in cattività, prima dell’involo, il pullo di gipeto viene prelevato dal nido e trasportato in una zona remota dove è depositato in una nicchia isolata su una parete di roccia. Per alcune settimane, evitando più possibile qualsiasi contatto umano, viene nutrito e sorvegliato da un gruppo di esperti finché non è in grado di sperimentare il primo volo. Da questo momento in poi, grazie alle sue competenze istintive, impara da solo le principali tecniche di volo, a procurarsi autonomamente il cibo e ad affinare le capacità di frammentare le ossa. Questa tecnica di rilascio, chiamata hacking, si è dimostrata estremamente efficace al punto che l’88% percento dei gipeti reintrodotti in natura sopravvive al primo anno di vita.
Nonostante il notevole successo delle attività di reintroduzione del gipeto nelle Alpi, lo stato di conservazione della specie non è ancora favorevole. Tra le minacce che continuano a metterne in pericolo la sopravvivenza possiamo elencare quelle dirette come il bracconaggio e l’impatto contro i cavi dell’alta tensione o degli impianti a fune che continuano a provocare la morte di diversi individui tutti gli anni.
Sono anche numerose le minacce indirette che producono numerose vittime tra i gipeti. In particolare, la specie è soggetta a fenomeni di intossicazione dal consumo di carcasse contaminate con diverse tipologie di veleno. È il caso che si presenta quando i gipeti si cibano sulle spoglie di predatori come volpi, lupi e altri carnivori avvelenati illegalmente oppure deceduti dopo aver predato a loro volta altri animali avvelenati come i roditori.
Allo stesso modo ha un effetto deleterio sul grande volatile il saturnismo, cioè l’avvelenamento provocato dal piombo delle munizioni da arma da fuoco. Si verifica quando un animale colpito da proiettile non viene ricuperato dai cacciatori e rimane a disposizione dei necrofagi o quando i suoi visceri non vengono adeguatamente smaltiti e vengono consumati da altri animali entrando di conseguenza nella catena trofica di cui il gipeto rappresenta l’ultimo anello. In maniera simile è ciò che succede nel caso di utilizzo del munizionamento al piombo nelle zone acquatiche e umide dove il metallo pesante si diffonde attraverso l’acqua presso pesci e anfibi interessando a seguire tutte le specie della piramide alimentare fino ai gipeti e avvoltoi.
In una specie estremamente elusiva come il gipeto, le attività di disturbo provocate dagli esseri umani possono avere un impatto molto negativo sul successo riproduttivo. Il sorvolo dei siti di nidificazione da parte di velivoli, elicotteri, parapendii o deltaplani e droni è in grado di destabilizzare i comportamenti e le abitudini di una coppia con il pullo, così come il disturbo provocato da attività fotografiche eccessivamente ravvicinate in cui i volatili vengono attirati con l’uso di esche.
Infine, la perdita di habitat naturali e di biodiversità influisce negativamente sulle popolazioni di gipeto anche se su scala alpina si tratta di un fenomeno attualmente poco influente.
I nomi che varie lingue attribuiscono al gipeto sono spesso curiosi e legati alle sue caratteristiche fisiche o alimentari. La radice greca gyps-aetos, riferita alle sembianze a metà tra un rapace e un necrofago, è stata acquisita dall’italiano “gipeto” e dal francese “gypaete”, spesso accompagnata dall’aggettivo qualificativo di “barbuto” a sottolineare la presenza delle vibrisse alla base del becco. La sua dieta a base di spoglie si rileva nel nome spagnolo “quebrantahuesos”, letteralmente spaccaossa, e in diverse varianti del sardo come “gurturju ossarju”, “ingurt’ossu”, “achila ossaja”.
Le versioni tedesca “bartgeier” e inglese “bearded vulture” si traducono con “avvoltoio barbuto” mentre è ancora diffuso nel mondo germanico l’appellativo “lammergeier”, testualmente “avvoltoio degli agnelli”, dalla pessima ed erronea fama di cui godeva il gipeto in passato.
Insights:
Here is a brief list of informative and scientific materials produced on the bearded vulture by the Management Body of the Protected Areas of the Cozie Alps.
Avvoltoi Piemonte, edited by Giuseppe Roux Poignant - Semi-annual bulletin produced by the Vulture and Alpine Raptors Reference Center. Click here to download the latest issue.
International Bearded Vulture Reintroduction Project in the Alps - presentation page of the Western Alps Observers Network.
Reference website: https://4vultures.org