ultimo aggiornamento: 16/02/2022

'L chinebbu - La canapa

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Cahier n.4 - Coltivazione e tessitura della canapa dal seme al capo confezionato interamente raccontata e illustrata da Oreste Rey con la consulenza tecnica per la lavorazione al telaio di Bruno Tessa.

Nel 1999, a Salbertrand, per scopi puramente dimostrativi, è stata realizzata una coltivazione sperimentale di canapa. Da quell'esperienza, condotta dall'Ecomuseo in collaborazione con Oreste Rey e con la partecipazione delle scuole elementari, è stato tratto un libro, il quarto Cahier dell'Ecomuseo Colombano Romean: 'l chinebbu . Nei locali della pitä, presso il mulino idraulico del Martinet, è attualmente visitabile un'esposizione permanente sulla coltivazione e lavorazione della canapa, dal seme al capo confezionato.

La canapa ha fornito fibre tessili per intere generazioni di montanari, svolgendo un ruolo insostituibile all'interno dell'economia autarchica delle vallate alpine. Dalla sua fibra si ricavavano tessuti per indumenti, lenzuola, teli da campagna e cordami.

È una pianta erbacea annua a stelo diritto che può anche raggiungere, a seconda della varietà e della fecondità del terreno, un'altezza di oltre tre metri. È detta dioica perchè i fiori femminili e i fiori maschili sono portati da piante diverse ma, per una strana interpretazione, i contadini chiamano maschio (maclë) lo stelo che porta i fiori femminili e viceversa.

In passato tutte le operazioni, dalla semina alla preparazione del filo erano scandite da ritmi delle stagioni ed erano condotte a livello familiare; solo la tessitura era eseguita da tessitori specializzati.
Tra fine Aprile ed inizio Maggio, in un terreno soffice e sufficientemente umido, avveniva la semina per spargimento; dopo un mese, il terreno scompariva sotto una verdissima coltre di foglie e a fine Giugno la canapa aveva raggiunto 1,80 metri di altezza.
Essendo una pianta che richiede terreno umido, a Luglio doveva essere irrigata.
A fine Agosto iniziava la fioritura degli steli maschili che cambiavano colore (verde più chiaro) e si allungavano più rapidamente (ad accrescimento completato erano circa 80 cm più lunghi di quelli femminili).
Terminata l'impollinazione, a Settembre, gli steli maschi ormai disseccati, venivano raccolti in mazzi di 20 steli a formare pinhà e disposti in covone costituendo quasi la metà del raccolto considerato in fibra.
Le pinhà venivano raccolte a tre a tre a formare un masun e portate in solaio in attesa della raccolta degli steli femminili.
A Ottobre i semi erano ormai maturi (verifica per secrezione oleosa a schiacciamento). Gli steli femminili venivano sistemati in covoni e ricoperti da un cappuccio di paglia di segale per proteggere i semi dalla pioggia e dagli attacchi degli uccelli. Dopo una quindicina di giorni di essiccazione venivano raccolti i grani per la semina dell'anno successivo e si passava alla macerazione.

I maceratoi erano vasche scavate nel terreno alimentate da acqua sorgiva, in essi gli steli rimanevano completamente immersi per circa 20 giorni in acqua corrente; spesso erano di proprietà dell'intera Comunità ed il loro utilizzo era regolato da turni precisi.
Alla fine di Novembre, al sopraggiungere delle prime nevicate, i lavori di campagna cessavano e la gente, la sera, si riuniva nelle stalle per la veglia (lä vilhà): gli uomini, alternativamente ad altri lavori, si occupavano della stigliatura: l'estrazione della fibra dagli steli poteva avvenire manualmente o meccanicamente utilizzando la gramola (dragunou) per sbriciolare la parte legnosa e separarla dalla fibra.
La fibra veniva raccolta in trecce (da ogni pinhà derivava un ciuffo di fibra detto dià, tre dià ottenute da un masun venivano raccolte in una trenna) e portata alla pitä per la pestatura. Qui, grazie all'azione meccanica della ruota in pietra, la fibra veniva liberata dalla pellicola di resina che la ricopriva e ridotta in singoli, sottilissimi fili.

Prima di riprendere i lavori di campagna, tra Febbraio e Marzo, quando il clima diventava meno rigido ed era possibile lavorare all'aperto, veniva eseguita la pettinatura utilizzando appositi pettini detti scardassi.
Ne derivavano quattro qualità di prodotto: la rista lunga, la rista corta, il copecchio e la stoppa.

La fibra così ottenuta era così pronta da filare per l'autunno successivo quando, nella stalla, le filatrici avrebbero prodotto bobine colme di filo.
La confezione delle matasse era compito prettamente maschile: le bobine venivano montate su un apposito sostegno detto servëntä, infilate su un perno che le lasciava libere di ruotare, e venivano svuotate facendo passare il filo sull'aspo.
A fine Aprile, le matasse passavano al bucato prima di essere trasformate in gomitoli grazie all'ausilio dell'arcolaio ('l vindu).

Tutto il susseguirsi delle operazioni, dalla semina alla preparazione del filo, veniva eseguito a livello famigliare, solo la tessitura che richiedeva un'attrezzatura più complessa ed una specializzazione era eseguita da "professionisti" che spesso si tramandavano per discendenza il mestiere. Da Salbertrand, i gomitoli di canapa venivano portati sino a Les Auberge per la produzione di lenzuola e a San Colombano per i teli da usare in campagna per la raccolta del fieno.

Dicembre 2006
Oreste Rey

 

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